Al Capone alla prova con…Molière
Asylum Anteatro ai Vergini è un gruppo di lavoro e laboratorio teatrale permanente, ed una bellissima realtà mossa da un’impronta personale e da carattere nell’approcciare l’arte teatrale.
Ho avuto modo di apprezzare la precedente rappresentazione Quantico Krapp, un’arguta decostruzione della piéce di Samuel Beckett intitolata “L’ultimo nastro di Krapp”, ed ho atteso con interesse e curiosità la nuova fatica il cui nome è “Al Pacone alla prova”. La cornice dell’evento, in questo caso, si è spostata dallo spazio canonico di un teatro alla città di Pompei, precisamente all’ArcheoTeatro Pompeiano, destinato a rappresentazioni di combattimenti fra gladiatori ma in questo caso “spogliato” da armi e scudi è diventata la location perfetta di una commedia di fine estate.
Il concept è di immediata lettura: Al Pacone fa rima con Arpagone ed è anagramma di Al Capone, per la regia di Massimo Maraviglia che raccoglie, anche in questo caso, la sfida della decostruzione e della rilettura in chiave contemporanea di un’opera secolare come “L’Avaro” di Molière. Il drammaturgo francese, a sua volta, aveva attinto dalla tradizione della commedia plautina, strutturando un doppio binario ideologico da cui attinge anche il dualismo fra avarizia ed avidità, alla base della più recente fatica di Asylum Anteatro ai Vergini.
Fin dal primo momento si respira dinamismo e movimento in un’impatto visivo avulso dalla realtà: i personaggi che si muovono in scena vestono totalmente in bianco, e dello stesso gradiente cromatico sono gli oggetti, ridotti al minimo, che sovente vengono sostituiti dalla capacità degli attori di costruire immagini anche complesse. Antonio Torino, novello Arpagone, panciuto e dall’accento napoletano, scandisce i ritmi della corale che caratterizza le vicende della scena: matrimoni combinati, ruberie dei figli nei confronti dei padri, indagini sotto copertura, amore per il denaro al punto di “spendere per cinque persone e farne mangiare dieci” sono solo alcuni fra gli elementi di questa farsa ad alto impatto e capace di garantire risate in quantità. Godibile senza scadere in alcuna forma di banalità, il lavoro del collettivo partenopeo si congeda con un ending che è riduttivo e fuorviante definire happy.
Se la ricerca era finalizzata a trovare un micro-antidoto contro il “logorio della serietà quotidiana”, affermo serenamente che Al Pacone ha raggiunto pienamente il proprio obiettivo, elaborando un prodotto personale ma affine all’opera originale; in un equilibrio che ho raramente apprezzato in altre riproposizione dell’opera di Molière.
Asylum Anteatro ai Vergini sta tracciando una propria strada, una prospettiva personale di fare teatro che volta dopo volta diventa sempre più definita.